Ci sono gruppi che possono permettersi qualsiasi cosa: un numero sporpositato di dischi, collaborazioni e bassisti, uscite discografiche praticamente inascoltabili, sperimentazioni inapproppriate eppure riuscitissime, brani ineguagliabili per potenza e lunghe suite al limite del rumore e tutto questo senza che la loro personalità o la loro credibilità venga mai messa in dubbio. Una di queste band sono i Melvins, un’istituzione, un baluardo della musica alternativa da circa un trentennio.
Ed anche questa volta se la sono studiata bene: mandati in tour per conto loro i Big Business, chiamano alla loro corte l’amico Trevor Dunn (John Zorn, Fantomas e Mr. Bungle) e danno vita alla versione senza grassi del loro stesso progetto. Come suona? Come un disco dei Melvins, se gli stessi, oltre alle loro caratteristiche note, decidessero di introdurre un certo sentore “datato” alle loro composizioni, usando degli archi (cosa già avvenuta nell’ ep precedente) e giocando in qualche occasione a fare il gruppetto jazz da localino fumoso che non potrebbero mai essere, eppure funziona!
Il basso non è mai stato così oscuro, profondo e senza amplificazione, Dale Crover non deve aver mai usato così tante spazzole suonando una batteria (una Gtretch del 1940 tra l’altro… se vogliamo prendere sul serio le note) e King Buzzo mantiene saldamente le redini con la sua chitarra forgiata nell’alluminio. Up The Melvins! In qualsiasi forma si presentino… speriamo anche presto in quella dal vivo!